Il Cairo, alla fine… |
Articoli - Viaggi |
C'è una ragazza. è poco più di una bambina. Fruga nei cumuli di spazzatura in un angolo del Cairo. Nulla di strano. Al Cairo ovunque si fruga nell’immondizia. “Il Cairo, alla fine!”, direbbe Nagib Mahfuz fosse ancora vivo. Nei suoi scritti era “Alessandria, alla fine…”. E poi, la città diventava “pioggia di rugiada, eruzione di nuvole bianche. Culla di raggi lavati in acqua di cielo,
cuore di ricordi bagnati di miele e di lacrime”. Ma oggi sarebbe comunque e fortemente Il Cairo.
Davanti ai bidoni, vicini agli imbarchi delle navi che scivolano sul Nilo, i poveri fanno la coda per impossessarsi di cosa è stato buttato via dagli altri. Al Cairo, la domanda di spazzatura è più alta dell’offerta. Quella ragazza lo fa a due passi dalle imbarcazioni. è vicina alla riva, dove le acque sono scure e sembrano quasi Coca cola che ristagna. Nell’elegante sala da pranzo di uno di questi lussuosi hotel sull’acqua, ci sono i turisti, divisi in grandi gruppi di viaggiatori, uno europeo e uno americano. Sono seduti a tavola in attesa che venga servito il pranzo. Qualcuno lamenta scocciato il ritardo nel servizio. Qualcun altro sbocconcella qualche pezzo di pane sorseggiando una birra ghiacciata. Il salone è contenuto da una vetrata panoramica che dà proprio sulla banchina del fiume. Signore elegantissime commentano indignate la povertà nel mondo, confessano di essere rimaste toccate nel profondo del cuore a viverla così da vicino. Altre ancora si spazientiscono, diventano acide augurandosi che lo spettacolo a cui stanno assistendo termini quanto prima. “Quella ragazza deve andarsene! Ma non interviene la polizia!?”, balbettano. Fuori, al caldo del deserto a mezzogiorno, la giovane continua nella sua accurata selezione. Ogni tanto si volta per mettere in una borsa di corda qualche ciuffo d’insalata rovinata, appena scartata dal personale dello stesso barcone. Dentro, al freddo glaciale dell’aria condizionata puntata al massimo, la gente s’infila il golf e continua a osservare con una punta d’imbarazzo. Ha inizio il pranzo… ma non ho fame. Tutto pare una finzione. Per qualche istante vivo in un racconto. è bello e crudele. Mi pare di stare nel Karnak Cafè, quello reso celebre da Nagib Mahfuz. Manca solo la sensuale Qurunfula, ex danzatrice del ventre, poi cameriera del bar. Perché non mi serve lei il pranzo? La radio trasmette tg straordinari sull’assassinio di Sadat. Improvvisamente, torno al mio posto. Dal mio gruppo si leva una petizione perché venga abbassata l’aria condizionata. Qualcuno calcola la distanza che ci separa da Lampedusa, qualcun altro mitraglia elenchi di viaggi e avventure vissute chissà quando e chissà come. Perché non mi sono alzato e non sono sceso dalla barca per portare il mio piatto a quella ragazza? Ancora oggi, me ne pento e quando ricordo quest’episodio, mi auguro che quell’adolescente, ormai donna, abbia potuto conoscere vita migliore… Allora rimasi in silenzio. Oggi posso almeno raccontare di lei. La chiamerò Qurunfula, proprio come la sensuale e leggendaria ex danzatrice del ventre al Karnak Cafè. Queste poche righe si riferiscono a un viaggio avvenuto nel 1991. Le ho scritte alla fine degli anni Novanta per vincere un rimorso che mi ha perseguitato per anni. Dopo la condivisibile rivolta egiziana del 2011 e le successive tensioni politiche, lo trovo di nuovo attuale. L’instabilità della Regione fa crescere di nuovo la povertà. I media non ne parlano concentrandosi sugli aspetti di geo-politica. Io voglio condividerlo con chi, come me, si rammarica e s’indigna davanti alla povertà e auspica un mondo più equo. |