Via Bellezia e via Fiochetto: quale vicenda le accomuna? Stampa
Articoli - Le vie della memoria

Era 1630. Un calzolaio iniziò a sentirsi male, una forte tosse non gli dava tregua. Poi apparve un bubbone e una forte febbre: la “dama nera”, la peste sterminatrice, era arrivata a Torino.

La peste raccontata da Manzoni nei “Promessi Sposi” (Milano fu una delle città più colpite) assalì tutta l’Europa. La popolazione subiva ciclicamente epidemie, dovute alle forti carestie, oltre che alla mancanza di basilari forme di igiene. Ma quella fu una peste gravissima: con l’estate la situazione si aggravò e la città, già precedentemente spopolata dall’emigrazione di migliaia di persone a causa delle guerre e della crisi economica, passò da 11.000 a 3.000 abitanti.

In quell’estate infernale, masse di cadaveri giacevano lungo via Dora Grossa (l’attuale via Garibaldi), rendendo l’aria, satura di umidità ma senza pioggia da settimane, nauseabonda e infetta. Mobili ed effetti personali degli appestati venivano dati alle fiamme, cercando di limitare il contagio.

In questo contesto la città fu abbandonata dalle autorità e dagli stessi Savoia, rifugiatisi a Cherasco: rimasero solo il Consiglio comunale, con il suo sindaco Gian Francesco Bellezia, e i religiosi degli Ordini regolari, che prestavano la loro opera nei due lazzaretti torinesi.

Eletto Decurione (una sorta di amministratore comunale dell’epoca) nel 1628 e poi primo sindaco della città proprio nel 1630, Bellezia affrontò coraggiosamente il suo mandato cercando di gestire al meglio l’emergenza. Oltre alla morte di 150/200 persone al giorno, si verificavano anche frequenti episodi di sciacallaggio a cui il sindaco dovette far fronte, cercando di contenere l’isteria del popolo: anche qui, infatti, come racconta il Manzoni, si era diffusa la paura, o meglio la psicosi, degli “untori”, cioè di persone che cospargevano di una sostanza giallastra maniglie e altri luoghi con cui le persone entravano in contatto, allo scopo di diffondere il contagio.

Accanto a sé in questa lotta, Bellezia trovò il protomedico (pubblico funzionario preposto a coadiuvare l’attività sanitaria dello Stato) Gian Francesco Fiochetto. Egli visitò i malati casa per casa e si impegnò con tutte le sue forze per capire e combattere la peste. Tutte le sue annotazioni e scoperte furono da lui raccolte nel “Trattato della peste et pestifero contagio di Torino”.

Nonostante gli sforzi di questi due concittadini, che arginarono per quanto possibile il contagio, la l’epidemia cessò solo con l’inizio dei primi freddi invernali.

La città si riprese negli anni successivi, ci fu un boom di matrimoni e in seguito di nascite, ma  occorse comunque parecchio tempo prima di tornare ad una situazione simile a quella precedente il 1630.

Bellezia, grazie ai meriti acquisiti, venne poi nominato consigliere senatore ed avvocato patrimoniale generale della Camera dei Conti dal Duca Vittorio Amedeo I. In seguito ebbe numerosi incarichi, sempre intrecciati con la complicata vita politica del tempo. La sue migliori doti le espresse in qualità di magistrato onesto e intelligente, mentre il suo temperamento “sanguigno” gli procurò qualche problema nelle attività diplomatiche e politiche in genere. Morì nel 1672.

Nel 1807 gli venne dedicata una delle vie più antiche di Torino, all’interno del Quadrilatero Romano.

 

Gianfrancesco Fiochetto aveva studiato medicina alla Sorbona e, quindi, laureatosi all’Univesità di Torino, vi insegnò e ne fu rettore. Diventò poi protomedico di Carlo Emanuele I e pedagogo dei suoi figli, che seguì alla corte di Filippo III di Spagna. Viaggio per il Mediterraneo con Emanuele Filiberto, e risiedette in Sicilia con lui. Tutto ciò gli venne riconosciuto per la nomina di protomedico del ducato sabaudo, ruolo in cui lo ritroviamo nella storia appena raccontata. Morì nel 1642.

La via a lui dedicata è nel cuore del quartiere Aurora, a due passi da Porta Palazzo. Situata nel mezzo della Torino multietnica, nella via troviamo il centro culturale italo-arabo Dar-al-Hikma e l’hammam (bagno turco).

 

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