Preti coraggiosi uccisi dalle organizzazioni mafiose II

di Angela Vaccina

Il traghetto si avvicina alla costa, si intravede una terra brulla, i fichi d’india, gli aranceti, “la Sicilia”; un’isola verde mare. Famosa per la sua cucina, i suoi dolci e le sue granite, per le sue città ricche di reperti archeologici, i templi dell’antica Grecia e le guglie dei minareti arabi. Un profumo di zagare e oleandri inebria e accoglie i turisti. Ma quest’isola purtroppo porta su di sé un marchio; in tutto il mondo la Sicilia è conosciuta come la terra dei mafiosi e una lunga di scia di morte copre questa terra affascinante. 

Il termine mafia è generalmente riferito ad una particolare e specifica tipologia di organizzazione criminale, avente tratti caratteristici e peculiari. Non si conosce con esattezza l’origine del termine mafia: a Vicenza e Trento il vocabolo “maffia” si usava per indicare la superbia, i delinquenti si pavoneggiavano e portavano i capelli alla mafiosa. Secondo Diego Gambetta il vocabolo originario potrebbe provenire dall’arabo “mahyas” spavalderia, vanto aggressivo, o da “marfud” reietto. Nel XIX secolo il termine mafiusu indicava una persona arrogante, prepotente, ma anche intrepida e fiera. 

Allora come oggi la mafia porta avanti le sue attività con l’aiuto di forze politiche in cambio di voti per un dato candidato che, una volta eletto, concederà molti favori alla cosca che l’ha supportato. I mafiosi fondano il loro potere necessariamente sul consenso popolare, il sostegno (estorto o volontario) di proprietari  di imprenditori, e su una cultura antistatale e di una certa concezione di società. 

Negli anni settanta sono nati diversi movimenti antimafia, al fine di contrastare il fenomeno e di sensibilizzare l’opinione pubblica, per esempio Libera. Importante anche il contributo che hanno dato alcuni soggetti, soprattutto a partire dagli anni settanta come Leonardo Vitale, definito spesso come il primo pentito di Cosa Nostra, altra definizione della mafia. La mancanza di lavoro e di prospettive future, giocano favore del mercato alternativo gestito dalla mafia, la droga, l’immigrazione, il gioco d’azzardo, gli appalti pubblici, l’usura, la prostituzione, i rifiuti, le armi e le autostrade sono le fonti di guadagno di questo grande impero. Le amicizie importanti e il silenzio della popolazione ricattata dalla paura, o complice, per una cultura di sottomissione e di una strana forma di rispetto. 

Risvegliare le coscienze, riportare il popolo verso la legalità, usufruendo delle poche risorse disponibili, sorreggere i giovani in difficoltà, questo il progetto di un giovane sacerdote, nato in un quartiere periferico, di Palermo, Brancaccio. A 16 anni nel 1953 don Puglisi entra nel seminario palermitano, da cui uscirà prete il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e successivamente rettore della chiesa di san Giovanni dei lebbrosi. Nel 1963 è nominato cappellano presso l’orfanotrofio Roosevelt e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta a Valdesi, borgata marinara di Palermo. Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco a Godrano, un paesino della provincia palermitana che in quesgli anni è interessato da una feroce lotta tra due famiglia mafiose. L’opera di evangelizzazione del prete riesce a far riconciliare le due famiglie. Dal 1978 al 1990 riveste diversi incarichi, il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a san Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalità organizzata attraverso i fratelli Graviano, capimafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella: qui inizia la lotta antimafia di padre Giuseppe Puglisi. Egli non tenta di portare sulla giusta via coloro che sono già entrati nel vortice della mafia, ma cerca di non farvi entrare i bambini che vivono per strada e che considerano i mafiosi degli idoli, persone che si fanno rispettare. Egli infatti, attraverso attività e giochi, fa capire loro che si può ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente per le proprie idee e propri valori. Si rivolge spesso ai mafiosi durante le sue omelie, a volte anche sul sagrato della chiesa. 

Don Puglisi toglie dalla strada ragazzi e bambini, che senza il suo aiuto, sarebbero stati risucchiati dalla vita mafiosa e impiegati per piccole rapine e spaccio. I boss mafiosi lo considerano un ostacolo così decidono di ucciderlo, in seguito a una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non aveva mai parlato con nessuno. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro Padre Nostro, per la promozione umana e l’evangelizzazione. La grande passione educativa, lo aveva portato ad assumere incarichi di docenza in molte scuole siciliane. Il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56esimo compleanno viene ucciso dalla mafia, davanti al portone di casa. Qualcuno lo chiama, lui si volta mentre qualcun altro gli scivola alle spalle e gli esplode uno o più colpi alla nuca. I funerali vengono celebrati il 17 settembre 1993. Il 2 giugno 2003 qualcuno mura il portone del centro “Padre Nostro” con dei calcinacci, lasciandone gli attrezzi vicino alla porta. Il 19 giugno 1997 viene arrestato a Palermo il latitante Salvatore Grigoli, accusato di diversi omicidi tra cui quello di don Pino Puglisi. Dopo l’arresto Grigoli comincia collaborare e fa il nome dell’altro killer, Gaspare Spatuzza. Racconta anche le ultime parole di don Pino: un sorriso e poi “me lo aspettavo”. Mandanti dell’omicidio i capomafia Filippo e Giuseppe Graviano vengono condannati all’ergastolo in concomitanza di altri componenti del commando. Il 15 settembre 1999 il cardinale Salvatore de Giorgi apre ufficialmente la causa di beatificazione per don Puglisi proclamandolo Servo di Dio. 

A don Pino sono dedicate diverse scuole, e per la commemorazione del X anniversario del martirio le Poste italiane hanno emesso due annulli speciali: all’ufficio postale di Godrano e di Palermo 48, con il motto preferito da padre Pino “Si, ma verso dove?”. La cerimonia di beatificazione è avvenuta il 25 maggio 2013. Il cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo autorizza la traslazione del corpo di don Puglisi dal cimitero di Sant’Orsola alla cattedrale di Palermo. Le spoglie sono state collocate ai piedi dell’altare nella cappella dell’Immacolata Concezione, in un monumento funebre che ricorda una spiga di grano (questo temporaneamente), perché proprio sui terreni di Brancaccio confiscati alla mafia è in costruzione un santuario dove la salma sarà collocata definitivamente. Il significato di tale monumento è tratto dal Vangelo: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. (GV, 12 24). La Chiesa ne ricorda la memoria il 21 ottobre.