In Italia, il Governo approva nel novembre 2009 il Decreto Ronchi, successivamente convertito in l. n. 166 del 2009, che colloca tutti i servizi pubblici essenziali locali (non solo l’acqua) sul mercato, sottoponendoli alle regole della concorrenza e del profi tto, espropriando il soggetto pubblico e quindi i cittadini dei propri beni faticosamente realizzati negli anni sulla base della fi scalità generale.
Il Decreto sembra ignorare il consenso popolare che solo due anni fa si era riunito intorno a una proposta di legge di iniziativa popolare per l’acqua pubblica, per la quale si raccolsero più di 400.000 fi rme, oggi in discussione in Parlamento. La privatizzazione dell’acqua in Italia cominciò in realtà già 15 anni fa, in modo silenzioso e capillare in diverse parti del paese, con la formazione di imprese a capitale misto, nelle quali sono coinvolte multinazionali ben note in tutto il mondo, e in America Latina, come ad esempio Suez e Veolia. Già 5 regioni d’Italia hanno impugnato il decreto di fronte alla Corte Costituzionale e vari Municipi hanno approvato modifi che del proprio Statuto, aff ermando l’acqua come bene comune e non una merce. Tra queste Torino è la prima grande città che aff erma nel proprio Statuto che l’acqua è un bene comune e deve essere gestita totalmente da soggetti pubblici che perseguano esclusivamente il pubblico interesse (il pubblico bene come si diceva un tempo), senza alcun fi ne di lucro (delibera d’iniziativa popolare per l’Acqua Pubblica approvata l’8 febbraio dal Consiglio comunale). La battaglia continua ora con i referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua. Il fine settimana del 24 e 25 aprile è iniziata in tutta Italia la raccolta firme; in centinaia di piazze italiane sono stati allestiti i banchetti che hanno già raccolto centinaia di migliaia di fi rme. La raccolta continua fino alla prima settimana di luglio, obiettivo 750mila. Sul sito www.acquabenecomune.org si possono trovare tutte le informazioni e il calendario aggiornato dei banchetti di raccolta firme. I tre quesiti vogliono abrogare la vergognosa legge approvata dall’attuale governo nel novembre 2009 e le norme approvate da altri governi in passato che andavano nella stessa direzione, quella di considerare l’acqua una merce e la sua gestione fi nalizzata a produrre profi tti. Dal punto di vista normativo, l’approvazione dei tre quesiti rimanderà, per l’affidamento del servizio idrico integrato, al vigente art. 114 del Decreto Legislativo n. 267/2000. Tale articolo prevede il ricorso alle aziende speciali o, in ogni caso, ad enti di diritto pubblico che qualifi cano il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente “privo di rilevanza economica”, servizio di interesse generale e privo di profi tti nella sua erogazione. Verrebbero poste le premesse migliori per l’approvazione della legge d’iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, corredata da oltre 400.000 fi rme di cittadini. E si riaprirebbe sui territori la discussione e il confronto sulla rifondazione di un nuovo modello di pubblico, che può defi nirsi tale solo se costruito sulla democrazia partecipativa, il controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini e delle comunità locali.
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