La strada di cioccolato
Testimonianze
Scritto da Grazia Maria Favaro   

L’Italiano è una lingua dolce, è il commento ai suoni; l’Italiano è una lingua diffi cile, è il commento alla struttura e al percorso nei modi, tempi, persone. La dolcezza e la diffi coltà sono due fra gli aspetti che si incontrano nell’insegnare agli stranieri che si accostano all’apprendimento della lingua parlata, letta, scritta nel luogo in cui sono approdati, nel modo e nella necessità che ritengono siano loro utili o necessari.
Ci sono tre livelli di approdo con le proprie conoscenze e, di conseguenza, tre livelli di necessità da soddisfare: l’incapacità di utilizzare la lingua, qualunque lingua, come mezzo di comunicazione scritta e la realtà che la lingua parlata era ed è l’unico e particolare strumento di comunicazione e interscambio; l’esperienza mediamente consapevole e scolarizzata dell’utilizzo della lingua come mezzo di comunicazione e di vita in ogni aspetto; l’alto livello di conoscenze personali e di studio in altra o altre lingue e la necessità di muoversi in un luogo con una nuova lingua da aggiungere al proprio bagaglio e di cui servirsi nel vivere quotidiano.
E poi c’è il tempo, quello conosciuto, quello presunto, quello disponibile. Il tempo già trascorso e vissuto in Italia, il tempo che si prevede o si conosce di permanenza, il tempo che si potrà dedicare alle ore di apprendimento con l’insegnante e quello quotidiano nella propria continuazione del lavoro e nella curiosità della ricerca.
Sono dati che sovrapposti muovono continuamente i risultati e gli eff etti in modo diverso e suscettibile di altre modifi che. Una cosa è certa, come lo è in ogni aspetto educativo: l’insegnante ha un suo progetto e percorso contenente linee e forme e ad ogni lezione lo deve rivoltare, adattare, rendere effi cace rispetto alla presenza più o meno assidua dell’allievo, alle necessità immediate, a qualcosa su cui serve fermarsi di più.
Deliziosa la lezione sui menù al ristorante, caldamente richiesta da chi lamentava la mancanza di disponibilità italiana di trascrivere almeno in una lingua comune i nomi delle portate da scegliere; simpatica e piena di risate la lezione che comprende i termini anatomici più utilizzati nella conoscenza del corpo umano; delicata la fase che prevede, come semplice fatto di comunicazione e dialogo, le domande sul proprio vissuto, casa, famiglia, amici, quotidiano, ieri, oggi, domani.
Donne e uomini con aspetti diversi, abiti diversi, abitudini diverse, colori diversi, pensieri aperti in direzioni diverse che si ascoltano e si suggeriscono, anche fosse in una terza lingua, oltre la propria e quella di cui si impara, la risposta. La risposta... chi detiene la risposta? La risposta è la presenza comune, la risposta è la parola che si svolge con suoni diversi e viene presa e fatta saltellare in bocca e sulle labbra per sentirla e usarla, a costo di bloccare manualmente la parte della bocca usata in eccesso per produrre il suono giusto, e correggere sempre il suono sbagliato.
Usi, costumi, pensieri, volti aggrottati nel vedere che ci sono modi, tempi, persone, radici, desinenze, tanti modi di dire una stessa cosa, in una sola lingua, in tante lingue. Spesso il corso di Italiano per Stranieri inizia con la presenza di molte persone e si chiude con aspetto quasi individuale con una sola presenza che è stata costante assidua e impegnata, con la quale è possibile fermarsi a lungo sui luoghi più oscuri per la sua struttura di comprensione; spesso ci si deve abituare a portare traduzioni in altre lingue per chi ne ha una terza comune, dizionari diversi, libri e schede di diverso livello o semplicemente di percorso diverso perché l’allievo, gli allievi, si accorpano e si sostituiscono nella presenza e nell’ingresso al corso.
In un punto, che io ritengo individualmente visibile, del percorso di apprendimento, utilizzo come valutazione e fi ltro di continuazione ad uno stadio successivo, un brano intitolato “La strada di cioccolato”, che contiene il congiuntivo introdotto per la prima volta e analizzato nella narrazione. È un dettato, nella forma più antica e comune del termine, che fa sorridere mentre si scrivono con diffi coltà parole non ancora incontrate e non comprese, ma così ripetute ed usate in concetti semplici e simpatici da diventare comprensibili; un brano lungo, interrotto ad ogni fi ne frase dalla richiesta di evidenziare i verbi, e ogni parola non conosciuta; una richiesta abbastanza pesante che accettata lascia il suo peso e diventa sorriso e la prima stesura, in quei segni o suoni non propri, di una qualche consistenza.
Molto interessante l’evidenza di persone di diversa origine che producono suoni errati rispetto ai segni grafi ci dell’italiano, in modo comune; molto stimolante l’analisi dei suoni mancanti in altre lingue, dell’uso dei tempi e delle strutture; generatore di ricchezza il dialogo fra segni, suoni, costumi, storia e realtà. Tutto si muove nella sensazione di piccoli passi, come quelli dei bambini, che hanno comunque un peso diverso e non sostenuto da mani adulte perché adulti sono i piedi che li portano avanti, e meravigliosa è la pazienza e l’umiltà con la quale una cosa diffi cile può essere delicatamente svolta, guardata, compresa e utilizzata perché sia uno strumento forte nelle proprie mani per diminuire le diff erenze, almeno in alcuni importanti gesti quotidiani.