La città multietnica: problema o risorsa?
Italia multietnica
Scritto da Piervittorio Formichetti   

La città multietnica: problema o risorsa?

Si è svolto lo scorso 26 maggio presso il Centro studi “Sereno Regis” l’incontro Problematiche e potenzialità della città multietnica, organizzato dal Centro Esperanto di Torino in collaborazione con Convergenza delle Culture. Ha introdotto il professor Fabrizio Pennacchietti, docente di filologia semitica e di esperantologia all’Università di Torino, che ha ricordato anche a partire dalla propria esperienza personale come ancora alcuni decenni fa in Paesi del nord Europa come la Danimarca e la Germania gli immigrati italiani erano sovente percepiti come dei “mediorientali” a causa delle caratteristiche somatiche (i capelli scuri e i tratti mediterranei) e perciò si trovava strano che volessero introdursi in una società che sembrava non avere tempo per questi “diversi”.

Ha aperto la mattina la dottoressa Marilena Bertini, medico impegnato nell’assistenza e nell’ informazione verso gli immigrati nel nostro Paese dal cosiddetto “terzo mondo” ma anche in collaborazione con i mediatori culturali nei loro Paesi di provenienza, per esempio il Sud-Sudan e gli Stati del cosiddetto Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia e Somalia), che ha mostrato le complesse problematiche relative al rapporto tra immigrazione (cosiddetta) clandestina, stato di salute e dialogo medico-paziente e con gli enti ospedalieri, toccando soprattutto i temi della condizione femminile (il difficile rapporto con medici uomini da parte delle donne provenienti dai Paesi islamici; l’informazione riguardo a tradizioni molto radicate nei loro Paesi di provenienza ma indubbiamente dannose ed umilianti a livello fisico e psicologico, come l’infibulazione e le sue conseguenze) e delle condizioni di vita disagiate in cui gli immigrati si trovano a vivere anche nel nostro Paese, dovute alla clandestinità e alle scarse condizioni igienico-sanitarie che possono essere causa di malattie infettive, a loro volta affrontate con problematicità da parte degli stessi extracomunitari, soprattutto per il timore di essere denunciati come irregolari da parte del medico.


 

è seguito il breve intervento del professor Pedro Aguilar , venezuelano di origine e insegnante di lingua spagnola in un liceo linguistico, impegnato nella promozione dell’esperanto come lingua internazionale, utilizzabile al pari delle altre lingue già diffuse a livello internazionale nonostante sia una lingua creata “artificialmente”, e ne ha indicato il vantaggio di non appartenere ad una nazione in particolare, né tra quelle che hanno subìto il colonialismo (in Africa, in Asia e nell’ America latina), né tra quelle che lo hanno attuato (Inghilterra, Francia).

Ha poi avuto luogo l’intervento della dottoressa Rita Vittori, da pochi giorni neo-assessore comunale di Rivalta di Torino con la lista civica Coscienza Comune. Rita Vittori, laureata in filosofia e insegnante nella scuola elementare, ha evidenziato punti importanti dei processi di incontro-scontro tra cittadini italiani e immigrati, notando obiettivamente che non è esatto ritenere che alla categoria immigrati corrisponda quella dei poveri e alla categoria dei cittadini italiani corrisponda quella dei ricchi, come se la differenza di possibilità economiche fosse esattamente ricalcata sull’ appartenenza etnica; sarebbe una concezione schematica e “manichea” che se portata avanti peggiorerebbe la situazione di stallo in cui si trova attualmente la nostra società, dando vita ad un’assenza di welfare per gli italiani in difficoltà e a fenomeni di isolamento o di paternalismo verso gli extracomunitari.

Infatti – ha sostenuto – alcuni dimenticano che anche tra i cittadini italiani ci sono differenze sensibili, dovute a storie diverse e a provenienze diverse, e che il vero discrimine consiste piuttosto nel rapporto con il mondo del lavoro (= quale mestiere fai e quindi quanto guadagni), ambito di difficile accesso nell’attuale periodo di crisi economica e ancora di più – per non dire impossibile – per un immigrato “irregolare”.

Al tema degli adulti immigrati e senza lavoro o che perdono il proprio posto di lavoro a causa della clandestinità, Rita Vittori ha legato quello della generazione seguente, cioè i figli degli immigrati che, spesso per le stesse cause, sono costretti a frequentare saltuariamente la scuola o ad abbandonarla del tutto; anche perché, oltre ad un effettivo svantaggio degli alunni nel dover adattare la propria mentalità (che peraltro è appena in formazione) ad un contesto diverso e ad una lingua straniera (con inoltre differenze “intraspecifiche”, per esempio un maghrebino fatica di più rispetto ad un rumeno nell’ apprendere l’ italiano), a volte più che essere i ragazzini ad avere problemi di apprendimento sono gli insegnanti che, non essendo aggiornati, non considerano importante “imparare come imparano” i loro alunni extracomunitari.

La neo-assessore ha poi presentato gli effetti che questa interazione troppo debole tra cittadini italiani e immigrati può produrre, e cioè fenomeni di “ghettizzazione” degli immigrati che possono sfociare in episodi di violenza (è stato ricordato il caso delle banlieues di Parigi), i quali a loro volta non possono che alimentare nuove istanze di esclusione e di isolamento della cittadinanza e quindi una nuova ghettizzazione; e poi una certa tolleranza per le conseguenze dei decreti di espulsione da parte di alcuni insegnanti, che alla fine si trovano meno lavoro da fare se la classe diventa meno numerosa, e magari libera proprio dagli “elementi difficili”; sono state poi messe in luce due conseguenze opposte, da un lato la tendenza a presentare come modelli di integrazione quelli che in realtà sono tentativi di assimilazione (tu, immigrato, sei incluso se diventi uguale a noi, altrimenti non puoi che essere un escluso); dall’altro – senza nessuna ipocrisia – una sorta di “buonismo” di certe famiglie che per mostrare a se stesse di essere persone di mente aperta, accoglienti, eccetera, iscrivono apposta i figli nelle scuole con alto numero di ragazzini extracomunitari. Ma in entrambi i casi – sottolineava Rita Vittori – non c’è un’autentica interazione reciproca tra cittadini italiani ed immigrati, che dovrebbe portare entrambe le parti a imparare qualcosa l’ una dall’altra. L’auspicio è infatti che tra la scuola e i genitori e tra i genitori italiani ed extracomunitari si sviluppi una cooperazione migliore, in previsione del fatto che saranno proprio i figli/alunni, italiani e non, a costituire nel futuro una società interculturale, dove l’assenza del reciproco contatto quotidiano sarà semplicemente impensabile.