Torinese. Gli appartamenti sono stati recuperati in una palazzina in stato di degrado. Quest’esempio d’integrazione positiva è oggi documentato da una tesi di laurea in Scienze politiche. “Il “diritto di abitare” dei Rom, tra emergenza e politiche d’inclusione nel territorio” porta la firma di Concetta Tropiano che ha eseguito la ricerca sotto la guida del professore Dario Rei.Tropiano, classe 1984, di casa a Torino, neo laureata in cerca d’impiego, vorrebbe lavorare come assistente sociale. Lei, i rom, li ha conosciuti sui banchi di scuola.“Le mie compagne di banco, rigorosamente in ultima fila, erano rom del campo di Strada dell’Aeroporto – spiega Tropiano – Conservo di loro un ricordo bellissimo”.La curiosità verso la cultura di un popolo, di cui molti non ne vogliono sapere, si è fatta materia di studio durante il tirocinio da assistente sociale. “L’ho fatto per l’Uepe (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) – precisa – è stata un’esperienza che mi ha permesso di entrare in contatto con la realtà del “campo nomade”. Ed è proprio in sede di visite domiciliari nelle baracche e nelle roulotte che ho iniziato a domandarmi se fossero possibili progetti e politiche abitative in grado di migliorare la qualità di vita dei Rom, il loro rapporto con la nostra società e quindi la governabilità del territorio da parte degli enti locali”.Proprio in quei giorni Concetta viene anche a conoscenza del progetto “Il dado”, messo in opera dal Comune di Settimo, insieme all’associazione Terra del Fuoco, attingendo le risorse dalla Provincia e dalla Compagnia San Paolo.Che cosa si è fatto nel dettaglio a Settimo?Il progetto consisteva nell’autorealizzazione della propria abitazione da parte di alcune famiglie (per la precisione 4) di rom romeni, provenienti dallo sgombero del campo abusivo Cascina La Merla di Mappano, andato distrutto in un incendio. Il comune ha messo a disposizione un immobile di edilizia pubblica, già destinato all’emergenza abitativa, che necessitava di una ristrutturazione. Sono state le famiglie stesse a realizzarla. In questo modo, hanno anche acquisito competenze professionali nel ramo dell’edilizia.Un percorso non senza difficoltà…La scelta del sindaco, Aldo Corgiat, di mettere a disposizione del progetto una palazzina in stato degrado, destinata all’edilizia pubblica residenziale, è stata vissuta come una contaminazione di uno spazio destinato ai cittadini locali. È stato davvero uno scandalo.Ma l’ostacolo è stato anche superato…Già, grazie a iniziative che hanno favorito l’incontro tra due culture e due comunità diverse.Ci sono stati altri problemi?Beh… la selezione delle famiglie beneficiarie… Ha richiesto profonde capacità di valutazione degli operatori di Terra del Fuoco, che hanno tenuto conto dell’intensità del desiderio di emersione dalla realtà del campo, delle dinamiche interne e dei legami familiari”.Gli operatori si sono dovuti scontrare eticamente tra due poli, quello dell’accoglienza indiscriminata e quello attivazione della persona…Se nel polo dell’accoglienza prevale un principio di pari opportunità, che sollecita ad assicurare in generale una vita e abitazione dignitose; nel polo dell’attivazione prevale una logica di reinserimento condiviso, che giustifica un ammissione al progetto selettiva e finalizzata. Tra i due principi rischia proprio di esserci una correlazione inversa: tanto più l’accoglienza è discriminata, tanto più è difficile immaginare progetti personalizzati di inserimento; quanto più si punta su percorsi personalizzati, tanto più appare necessario individuare soggetti beneficiari che siano in grado di trarre profitto dal progetto. Lo scontro etico è stato duro, ma alla fine, ha rappresentato un elemento favorevole alla riuscita del progetto stesso.Infine non ultimo, il problema del lavoro, per potersi mantenere e mantenere la struttura…Un elemento altamente critico sia per motivi dovuti all’attuale crisi economica, sia alla presenza di pregiudizi nei confronti dei rom… Chi mai assumerebbe un rom nella sua azienda? Per ovviare l’ostacolo, tre dei capifamiglia sono stati inseriti con un contratto di lavoro all’interno della cooperativa di Terra del Fuoco, creata appositamente per garantire opportunità di lavoro e professionalizzare le persone.Tra mille difficoltà hanno comunque avuto la meglio i successi. Non è così?È vero… Sono stati davvero tanti. Prima di tutto quest’esempio è un elemento di rottura di un circolo vizioso consolidato nella realtà: incendi, sgomberi, richiesta di fondi al governo centrale per gestire l’emergenza, trasferimenti, precarietà permanete. L’esperienza de “Il Dado” ha consentito l’”uscita dal campo” come luogo di degrado, mostrando che la collocazione delle famiglie rom in alloggi dignitosi è possibile. Un secondo successo è caratterizzato dalla partecipazione reale dei diversi attori coinvolti nella realizzazione… Ci sono: l’associazione Terra del Fuoco, il Comune e le famiglie. In particolare grazie alla partecipazione attiva delle famiglie Rom è stato possibile realizzare tipologie abitative che rispecchiassero i progetti di vita delle stesse. Secondo me, quando esiste la possibilità di partecipare e, quindi di scegliere, la persona si responsabilizza, acquisendo la capacità di valorizzare ciò che le si offre. Un altro successo?La presenza di coabitanti (operatori dell’associazione, giovani del servizio civile europeo, ospiti di origine differente) che hanno rafforzato il processo di inclusione all’interno del Dado, creando un mix di convivenza. Ciò ha messo in discussione la conoscenza distorta dai pregiudizi e dagli stereotipi, secondo cui lo stile di vita nomade, la povertà e l’inciviltà sono proprie della loro cultura.C’è poi il discorso del welfare…È emerso un modello virtuoso fondato sulla mutualità... Mi spiego meglio le risorse del welfare si sono così ridotte che si è creata una competizione orizzontale tra gli ultimi e i penultimi soprattutto per quanto riguarda la questione abitativa. Un modo per allentare questa gara tra poveri è la costruzione di mutualità, attraverso il cohousing sociale. La figura del coabitante è stata, infatti, ideata pensando alle persone (giovani, adulti monoreddito, studenti, giovani coppie) vulnerabili rispetto al mercato abitativo che, decidendo di condividere spazi e momenti con le famiglie zingare residenti. Inoltre l’aspetto del cohounsing si coniuga con l’aspetto del housing sociale, che risolve la domanda abitativa con una modalità non convenzionale, ovvero quella dell’autocostruzione che riduce sicuramente i costi. Nella tesi vengono citati anche casi esteri d’inclusione…Per dare uno spaccato delle diversità delle azioni pubbliche intraprese da vari stati, mi sono soffermata sulla descrizione di due modelli di intervento: quello “contemperante” dell’Inghilterra e quello “punitivo” della Francia. Sinteticamente, le politiche di housing inglesi sono tese all’inserimento permanente dei rom in abitazioni tradizionali di edilizia pubblica e privata. Tali soluzioni vengono fortemente incoraggiate e considerate auspicabili, in quanto favoriscono l’inclusione e la coesione sociale. Invece, le politiche di housing in Francia sono plasmate sul modello politico del “bastone e della carota” che prevede una gestione degli interventi rivolti alla popolazione rom, caratterizzato dall’offerta di un sistema di servizi, unita ad interventi punitivi in caso di trasgressione delle regole delle aree di sosta. Tale modello è diventato più rigoroso con i provvedimenti del governo Sarkosy del 2003. L’idea di fondo promossa dal modello è la seguente: il Rom buono è colui che non delinque e, di conseguenza, in assenza di condotte devianti può vantare dei diritti.Quali le conclusioni della tesi?… E “speranze” per il futuro?Come dimostra l’esperienza del Dado, sono possibili politiche alternative, orientate all’integrazione, alla costruzione di relazioni positive, o almeno a basso conflitto. Sarebbe auspicabile che progetti come il Dado non rimangano solo piani pilota a livello locale, ma diventassero prassi consolidate e istituzionalizzate, ampliando così il mix delle soluzioni abitative. Per portare a compimento il suo lavoro Tropiano, si è confrontata in modo diretto con le comunità Rom… È stato necessario svolgere un’indagine sul campo che non solo mi ha permesso di confrontarmi con la micro- comunità rom romena che vive al Dado, ma anche con la comunità romena che vive al campo non autorizzato di corso Tazzoli a Torino. Tutte le famiglie intervistate mi hanno accolta con calore nelle loro umili case o baracche, raccontandomi le proprie storie di vita. Il confronto diretto ha fatto venir meno quello stereotipo secondo cui i rom, in virtù della loro tradizione e cultura, sono abituati a vivere in accampamenti di fortuna, all’interno di baracche o roulotte. Questa immagine stereotipata ha perso di efficacia se la confronto con la realtà dei loro racconti: le descrizioni delle case in cui vivevano in Romania confermano che solo all’arrivo in Italia hanno provato l’esperienza del campo.In questi mesi di studio che idea si è fatta della comunità Rom che ha avuto modo di conoscere?Le storie di vita con le quali sono venuta a contatto nei mesi di tirocinio hanno messo in evidenza un filo comune: quello di famiglie che partono da condizioni disagiate e sperano di riuscire a riacquisire dignità, traferendosi in un appartamento, e scrollandosi di dosso la stereotipata accezione negativa di zingaro. C’è la volontà di integrarsi soprattutto per dare un futuro migliore ai propri figli.Quale la sua opinione per una buona convivenza in futuro? È necessario prendere le distanze da forme di segregazione fondate su criteri di omogeneità sociale/etnica. Queste generano solo atteggiamenti di diffidenza e ostilità. La causa primaria delle difficoltà di interazione tra i rom e non rom non è la diversità culturale, quanto l’esistenza di fattori di disagio sociale e carenza di risorse che pongono gruppi come i Rom in condizioni di disuguaglianza.
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