Licata
Lingue & Culture
Scritto da Silvia Licata   

Mi scuso con la redazione per avere, fra le altre cose, cambiato l’argomento del mio articolo. Mi sono resa conto improvvisamente che non sentivo davvero quello che avrei dovuto scrivere. Non per ciò che avrei dovuto trattare, anche perché un qualsiasi altro soggetto mi avrebbe dato lo stesso tipo di difficoltà. Ho avuto uno scuotimento interno, una sorta di scombussolamento che di per sé non saprei spiegare. Qualsiasi cosa sia, ringrazio il mio senso di smarrimento e come di metamorfosi per avermi ispirato in tal senso.
L’oggetto del presente articolo sarà uno studio sul mio cognome. Un cognome è rivelatore di origine e, quindi, stabilisce un punto di partenza, un riferimento. Direi che nel momento attuale un punto di riferimento che mi appartenga mi fa comodo, sia per controbilanciare questo mio senso di confusione, sia perché un punto di partenza è quello che serve per sapere dove andare. Favorisce il riconoscimento o la scoperta di una destinazione.
Il mio cognome, Licata, non è un cognome raro, ha una certa diff usione, almeno in alcune zone, ma possiede un timbro particolare, che è indubbiamente quello della provenienza. Chiarisco subito che non signifi ca che per tutte le persone che lo portano, in Italia o all’estero per eff etto di un’antica migrazione, il senso sia sempre lo stesso. Molto dipende, in realtà, da ciò che una persona sente pronunciandolo e pensando a sé. È indubbiamente una questione di identità. Personalmente l’attribuire una fi sionomia al cognome che porto è molto importante, perché chiarisce me stessa.
In prima analisi, Licata è un cognome siciliano. Ed eff ettivamente, da parte paterna, sono di origine siciliana. Contemporaneamente è un cognome toponimo, cioè identifi ca anche un luogo, che in questo caso è un paese della provincia di Agrigento. Detto fatto però non coincide con le mie origini, perché il ramo paterno della mia famiglia è originario di Lercara Freddi, provincia di Palermo. Non è un elemento insignifi cante, per cui, dopo avervelo annunciato, lo lasciamo un attimo in stand-by, per ritornarvi successivamente.
La tradizione del cognome in Italia è piuttosto antica, in quando risale all’epoca romana. Ai tempi della Repubblica, molto prima della nascita di Cristo, dunque. Non aveva lo stesso senso che gli attribuiamo noi oggi, certamente, e in realtà l’uso, che valeva non per tutti, ma solo per le persone libere, era quello di attribuire due cognomi, ovvero uno era il nome della famiglia, chiamato gens, e serviva per identifi care la stirpe, l’altro era un soprannome dato alla famiglia successivamente per distinguerne i vari rami.
Successivamente, tale uso si perde e il nome viene a coincidere con il “cognome”. Ci troviamo dunque di fronte a un unico modo per indicare un individuo, fatto non complicato perché con la mescolanza di varie popolazioni sul territorio, il ventaglio di possibilità per chiamare una persona si arricchisce notevolmente, impedendo di creare confusioni o diffi coltà. È solo successivamente, ben oltre l’anno 1000 d.C., che aumentando la popolazione, non riuscendo davvero più a distinguere le varie persone, nasce l’esigenza di chiamarle con il cognome vero e proprio. Ma l’obbligo di censire la popolazione con degli identifi cativi chiari risale solo alla metà del 1500, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Gli “identifi cativi” di ogni singolo individuo diventano quindi ereditari. I cognomi potevano derivare da soprannomi, da nomi legati alle professioni, a volte anche dal luogo di origine, rientrando quindi nella toponomastica di cui vi parlavo prima. Nel mio caso, quindi, si trattava di un modo per indicare di una famiglia o gruppo di persone, residenti in un luogo diff erente rispetto a quello di provenienza. Si voleva quindi designare degli individui originari di Licata nell’agrigentino, “quelli di Licata”, dunque. In eff etti, nel mio caso, come in quello di altre persone con questo nome, la provenienza è di altra zona della Sicilia (Provincia di Palermo).
Ma chi aveva l’abitudine di distinguersi con i toponimi? Nel nostro Paese, esistono una miriade di cognomi indicanti città, regioni o aggettivi geografi ci (Messina, Calabria, Pugliese, Catalano), il che di per sé non è signifi cativo se non l’indicare la provenienza da un luogo. In molti casi, però, e nella fattispecie per i cognomi siciliani, la motivazione era anche di altra natura. Gli Ebrei, residenti da lunghissimo tempo in Italia, erano restii a adottare l’uso del cognome. Secondo tradizione, si servivano del patronimico, ovvero utilizzavano il nome paterno indicandone la discendenza (uso peraltro presente anche in altre culture anche in epoca contemporanea, come per esempio in area slava: Иванович [ivanòvic] signifi ca letteralmente “fi glio di Ivanov”: desinenza patronimica ич [ic]; in Islanda i cognomi genuinamente islandesi terminano per “-dòttir”, altra desinenza patronimica; inaspettatamente anche nelle lingue germaniche è così: cognomi anglofoni come Wilson, Johnson, Robertson, terminano tutti in –son, che letteralmente vuol dire “fi glio”: fi glio di Will/William, fi glio di John, fi glio di Robert, ecc. e idem per esempio in Scandinavia: Eriksson, Petersen, Johannssen, Larssen, ecc.: -son/- sen hanno sempre il signifi cato di “fi glio”, con in aggiunta la s del genitivo sassone). In ebraico il patronimico era indicato con la parola Ben: vi ricordate il fi lm Ben Hur? Ebbene, allora, “figlio di Hur”. Questo termine è prettamente di origine semita: la si ritrova quasi identica con lo stesso valore e signifi cato in arabo: bin.
Vietatogli l’uso del patronimico in virtù di un cognome vero e proprio, si stabilì dunque che per indicarli, si sarebbe ricorsi alla toponomastica, assegnandogli quindi come nome di riconoscimento il nome della città o paese o regione di origine.
La presenza degli ebrei era molto diffusa in Sicilia, dai tempi più antichi, tant’è che gli arabi, presenti sull’isola già dall’anno 827, non avevano solo a che fare con la popolazione siciliana propriamente detta, ma anche con gli ebrei siciliani, seppure questo scontro/incontro in realtà avveniva con una tipologia di popolazione affine, proprio perché sia gli uni che gli altri erano semiti e avevano identica provenienza (Medio Oriente). Al di là infatti delle restrizioni che gli arabi colonizzatori imponevano agli ebrei, in effetti, questi ultimi, proprio per una vicinanza di costumi e di lingua, riuscirono meglio a fungere che non altre popolazioni come mezzo di diffusione della cultura araba nel Mediterraneo.
La presenza ebrea in Sicilia si registrava nella provincia di Palermo, Catania, Siracusa e Agrigento. Quest’ultima zona è quella che evidentemente ci interessa, poiché il paese di Licata è nell’agrigentino. Il comune in sé è poi zona, con altri, di altissima concentrazione delle comunità ebraiche. Così fortemente legati alle tradizioni e alla propria fede religiosa, cosa fece sì che avvenisse una perdita di consapevolezza delle proprie origini? Con l’arrivo dell’Inquisizione e della conquista della Sicilia da parte del re aragonese Ferdinando il Cattolico, il quale già aveva sancito l’espulsione o la conversione obbligatoria per gli ebrei spagnoli, gli ebrei siciliani subirono in parte le stesse sorti (editto reale del 18 giugno 1492). Dobbiamo precisare che le scelte, se così si possono defi nire, di ogni ebreo o famiglia ebrea del tempo si diversifi cavano. C’era chi, pur rischiando la vita, restava fedele alla propria fede e cultura; c’era chi fuggiva, c’era chi apparentemente abbracciava la nuova fede cattolica, ma di nascosto continuava a professare il proprio culto e, chi, infi ne, abiurava costumi e fede e forzatamente si convertiva. Ecco perché, a distanza di secoli, si sono perse le tracce di antiche generazioni ebraiche e oggi non si ha consapevolezza di tali origini, anche se è molto complicato risalirvi, poiché, come immaginiamo, i documenti sono scarsi e bisogna essere sempre molto cauti con le etimologie dei termini e con i dati storici.
Altra parola chiave: ho detto “etimologia”. Cosa significa realmente la parola “Licata”? Prende il nome dal castello greco di Olimpion. Esso ricompare poi nella toponomastica araba del tempo come Lnbijadah o Albiad. La parola “Licata” quindi significa “Olimpiade”. Sotto il Regno delle Due Sicilie, il toponimo Olimpion resta a indicare solo l’antico castello greco, mentre la città si trasforma in Alicata, complice anche la vicinanza del fiume Alikòs.
Per me, in relazione alla mia identità, due frasi sono fondamentali:
La Tregua, film tratto dal romanzo omonimo autobiografico di Primo Levi, ebreo torinese: verso la fine della pellicola, con l’arrivo dei russi, un soldato russo a cavallo, incontra un gruppo di ebrei appena liberati, persi e stanchi, a cui l’uomo si rivolge dicendo: «Se fossi in voi non mi dirigerei a ovest… ma non andrei neanche a est».
Libro dei Salmi di Davide, ed. Mamash, (premettendo che essendo atea, non gli attribuisco un valore religioso, ma solo culturale, esattamente come con tutti gli altri volumi che possiedo, dalla Bibbia, al Vangelo, al Corano, al Libro di Mormon, ecc.): copertina su cui compaiono una Menorah (il candelabro ebraico) e la frase: «Quando l’oscurità nasconde la luce, accendi l’anima».
Con la conclusione del 2010 e l’arrivo del nuovo anno 2011, colgo l’occasione per ringraziare gli amici e compagni di redazione, non solo per avermi accolta fra loro e avermi aiutato, ognuno a modo loro, in un momento per me molto complicato, ma anche per esprimere loro la mia gratitudine perché in questo modo, per loro assolutamente inconsapevole, mi hanno anche aiutata nella defi nizione della mia identità da ogni punto di vista.
GRAZIE