Gli dei dell’Olimpo e la porta d’oriente. Cronaca di un viaggio L’Erotokritos, nave della compagnia My Way che solca il mare Adriatico nella rotta Brindisi – Igoumenitsa – Patrasso, salpò dal capoluogo pugliese alle 19 e giunge nel porto greco di destinazione alle 10 del giorno dopo.
In realtà arrivò a mezzogiorno passato, poiché ci fu anche l’attracco nel porticciolo dell’isola di Cefalonia. Spettacolare la manovra in una piccola insenatura, che consentiva il passaggio quasi millimetrico della grande imbarcazione in retromarcia! A differenza dell’aereo e del turismo consumistico usa-e-getta, la nave è il mezzo per i viaggiatori dai “tempi lunghi”. Si può infatti assaporare il profumo del mare e il vento sulla faccia. Per i sentimentalisti, anche l’immensità del mare. Soprattutto di notte, ammirando nel buio totale l’unico riferimento per le rotte marittime prima delle bussole e dei satellitari: le stelle, la Polare e tutte le costellazioni. In lontananza anche l’intermittenza della luce di un faro ancora in funzione, che come Estremo Difensore su uno scoglio sferzato dalle onde, vuole indicare la giusta via al Capitano, nonostante tutte le tecnologie moderne in suo possesso. In questi frangenti la percezione del tempo si arresta, e ci si ritrova a parlare, socializzare e mangiare insieme con persone sconosciute, che se incontrate sul tram della propria città, (comoda e schiavizzante) non avremmo guardato nemmeno per errore. Se non per chiedere: “Scusi... scende?”. A volte nemmeno “scusi”. Piano piano Patrasso si avvicinava e le forme della città iniziarono a rivelarsi: eravamo arrivati. Dopo un primo momento di incertezza, capii che la stazione ferroviaria si trovava praticamente vicino al porto. Una piccola stazioncina di provincia che serviva esclusivamente la tratta Patrasso – Corinto. Il treno arrivò quasi subito, fortunatamente. Un piccolo treno di tre o quattro carrozze a trazione diesel che veniva definito “rapido”, per il quale quindi dovetti pagare il supplemento al controllore che, parlando in greco, mi faceva notare che il mio biglietto interrail non era sufficiente. A Corinto, (dopo il tragitto traballante di circa un ora sulle coste greche), il rapido finì la sua corsa. La coincidenza per Atene era già pronta sul binario adiacente. Una volta arrivato alla stazione “Larissa”, nella capitale greca, cercai una sistemazione per la notte. Un piccolo hotel a una stella in un vicolo vicino alla stazione aveva una stanza al secondo piano, libera a 20 euro notte. Bagno e doccia in comune, e due ragazze sedute sempre su un divanetto nel saloncino con specchiera, vicino alle scale, al primo piano. La stanza era quadrata, circa 4 metri per 4. Un letto a due piazze, un lavandino, un armadio e il ventilatore a soffitto. Posai il bagaglio, mi feci subito una bella doccia e uscii subito per comprare qualcosa da mangiare: erano quasi le 18 e lo stomaco iniziava a lamentarsi un po’! Il mattino seguente cominciai a godermi un po’ la città. Capii subito, guardando gli altri, che per fermare i taxi bastava fermarli con un cenno, comunicando all’autista la destinazione desiderata prima di salire. Se c’era già qualche passeggero e il tragitto era compatibile, si poteva salire, pagando la giusta quota del percorso. Imparai a scrivere su bigliettini le mie destinazioni! Prima tappa l’Acropoli, una rocca a circa 150 metri sul livello del mare nel centro della città, dalla quale si può ammirare un panorama meraviglioso. Ai piedi dell’Acropoli, Atene si allunga sconfinata, mentre la Plaka si stende proprio sotto la rocca. A sinistra c’è il Monte Lycabettus e sullo sfondo si vedono i resti del gigantesco tempio di Zeus e lo stadio olimpico. Sotto l’Acropoli si erge il teatro di Erode Attico, costruito dai romani nel 161 a.C. e ancora usato per balletti, concerti e opere teatrali. Più in là sorge il teatro di Dioniso, sede delle opere di Sofocle, Eschilo, Euripide e Aristofane. Sempre sotto l’Acropoli, si trova la rocca di Aeropagos, da cui c’è una magnifica vista sull’Agora, la Plaka, Monastiraki, Omonia e gran parte della città. La zona del belvedere reca la bandiera greca, che sventola alta, sospinta dal vento sempre possente. Ben presto cominciai a prendere la metro, che ad Atene è di tre linee e non interamente sotterranea. Inizialmente ebbi qualche difficoltà per via della lingua, ma imparai abbastanza in fretta a orientarmi. Visitai il porto del Pireo, la zona dello stadio Olimpico, la zona del Parlamento, le rovine del Tempio di Zeus e vari altri luoghi. Bellissime le chiese greco-ortodosse, nelle quali l’atmosfera spirituale si poteva toccare con mano, vedendo i fedeli toccare e baciare tutte le icone sacre facendo il segno della croce davanti a ognuna. Vidi anche una chiesetta anglicana. Era piccolina, con una piccola campana nella parte superiore del portale di ingresso e la corda che serviva per suonarla che cadeva proprio al suo fianco. Non so, sinceramente, se in Italia siano presenti chiese anglicane. Ad Atene (in greco AOHNA) mi fermai tre giorni, dopodiché proseguii il mio viaggio in direzione di Salonicco. Il treno partiva dalla stazione centrale della capitale intorno a mezzogiorno. Non pensavo si dovesse prenotare per forza il posto a sedere, quindi purtroppo tutto il viaggio lo passai in piedi. Superata la stazione della città di Larissa, nella Grecia centrale, la ferrovia cominciò ad inerpicarsi nella catena montuosa del monte Olimpo. Mai più avrei pensato di viaggiare in treno a tali altitudini! Il treno va a una velocità molto ridotta, forse 50 o 60 chilometri orari. In Grecia evidentemente non hanno bisogno di treni ad alta velocità, per far passare i quali sarebbe necessario stuprare la montagna con tunnel tanto faraonici quanto inutili. Stazioncine d’altri tempi, gallerie strettissime e ponticelli su burroni, fanno da cornice a questo meraviglioso percorso. Il binario è unico, solo presso le poche fermate si trova il secondo, dove il treno diesel staziona fino al passaggio della corsa inversa. Il panorama è bellissimo, quasi surreale, siamo in alta montagna, al fianco del monte degli Dei. Passata la vallata sacra, la ferrovia ritorna al livello del mare e, dopo circa 45 minuti, si arriva nel capoluogo della Macedonia del nord, Salonicco. La prima cosa che ebbi a vedere, furono alcuni ragazzi che giocavano a pallavolo davanti alla stazione. Qui in Italia non credo ci si possa imbattere in una cosa del genere, tranne a carnevale o durante qualche fiera! Per proseguire il viaggio dovevo aspettare quattro ore, quindi dopo aver prenotato la cuccetta, feci un giro in città. Non so perché, ma ebbi come l’impressione (pur non essendoci mai stato) di trovarmi oltre la cortina di ferro, al tempo della contrapposizione est-ovest. Vecchie Trabant sovietiche si alternavano a grossi Mercedes di 20 anni fa, e dai loro finestrini aperti arrivava all’orecchio un sottofondo di musica locale. La stessa che vidi ballare eccellentemente da una coppia cinquantenne, mentre bevevo il mio cocktail, nella discoteca dell’Erotokritos in notturna. Dopo poco tornai in stazione ad aspettare il treno che mi avrebbe portato in Turchia. Tre carrozze esclusivamente notturne stazionavano sul binario, trovai il mio posto e il treno partì. La cuccetta era comoda, casualmente ero da solo in uno scompartimento per due. Vicino al finestrino vi era una targhetta con scritto “SNCF 1970”. Nonostante l’età, l’ex treno francese era di un’ottima qualità. Molto al di sopra degli standard italiani, non solo di quell’epoca. La Tracia sembrava non finire mai. Arrivati ad Alexandroupolis, ultima stazione greca, il treno proseguì verso nord fino ad arrivare vicino al confine Bulgaro, passando in territorio Turco nel distretto di Uzunkopru della provincia di Edirne. Il ponte di ferro sul fiume Evros segnava il confine di stato e dal finestrino notai la sagoma di un soldato armato, unica guardia di frontiera nella buia e strettissima strada adiacente. Stazione e posto di polizia di frontiera, ore 03.00. La polizia bussando alla porta gridava: “PASSPORT, PASSPORT!”. Porsi il passaporto e il poliziotto disse: “This is old passport. Do you have visa?”. Non avendo il visto era obbligatorio scendere dal treno passando il controllo a terra. Ci vollero dieci euro e almeno due ore e mezza per tutte le procedure, poiché forse solo il capotreno era in regola. Finalmente si ripartì e io mi addormentai. Mi svegliai verso le sette del mattino, il treno fischiava ed era tutto inclinato su di una curva. Dal finestrino penetrava qualche raggio del Sole sorto da poco. Stavamo passando quasi a passo d’uomo, nel mezzo di un immenso campo di girasoli giganti. Tutti salutavano quando il treno passava ad un passaggio a livello! Per loro, vedere il treno sembrava quasi un evento. Uno spettacolo! Finalmente, dopo quasi cinque ore, il treno si fermò nella stazione europea dell’antica Costantinopoli. Turchia, stato islamico ma laico, porta e confine d’Europa. Una città, Istanbul, che racchiude in sé due continenti. Trovai una sistemazione per la notte in un hotel poco distante dalla stazione, e mentre mi stavo facendo la doccia il muezzin chiamava i fedeli alla preghiera. Decisi di uscire per vedere la città. Avevo anche parecchia fame. Subito mi venne incontro un gelataio per offrirmi a una lira turca un piccolo ma gustoso cornetto. Decine di bancarelle di ogni tipo, vicino allo scalo dei traghetti. Molti modellini di aeroplano volavano sopra la baia e il rumore era assordante! Decisi di salire sul traghetto in direzione Hyderpasha. Località in territorio asiatico che prende il nome dall’omonima imponente stazione ferroviaria. Da lì partono treni per Aleppo, Damasco, Amman, ma anche Teheran. Praticamente la porta d’Asia per arrivare magari anche fino a Pechino via terra. Emozionante navigare sul Bosforo con alle spalle la bandiera rossa con la mezzaluna e la stella e all’orizzonte la maestosa cupola della moschea blu, con i suoi minareti slanciati verso il cielo come per ricordare l’unione tra il mondo terreno e il mondo spirituale. Sempre sul traghetto, un ragazzo mi chiese del Milan e del suo presidente. Risposi che non seguivo il calcio e per quanto possibile, bevendo il the verde offerto a bordo, parlammo d’altro. Tornato nella Istanbul europea, nei giorni seguenti visitai la città, entrando nei vicoli, assaggiando quello che mi veniva offerto dai mercanti. Ricordo un’antica chiesa cristiana con la porta murata. Era chiusa letteralmente ai tre lati da enormi palazzi, come fosse sotto assedio. La croce arrugginita sopra il tetto era l’unica testimone del suo passato. Il viaggio di ritorno fu pressoché identico a quello di andata. Cambiò solo il nome della nave che da Patrasso fece rotta verso Ancona. Il vecchio faro, leva 1872, dell’isola greca Othoni prossima alle coste albanesi, indicava sempre la via.
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