o il furto dell’impronta ecologica
Ciascuno di noi, per il solo fatto di esistere, ha bisogno di spazio. Spazio vitale per coltivare ciò che mangia, cercare materie prime per la manifattura dei prodotti che utilizza, generare energia, eliminare i rifiuti, cacciare o pescare, allevare gli animali di cui si nutre. Questo spazio vitale si chiama impronta ecologica, e può essere calcolato tenendo conto di tutte le attività umane, Attualmente, è pari a circa 2,2 ettari, come dire che ogni essere umano, occupa, in media, poco più di tre campi di calcio.
È poco? È tanto? Per capirlo, è sufficiente computare la disponibilità pro capite offerta dal nostro pianeta: tenendo conto che attualmente siamo circa 7 miliardi, il risultato è circa 1,8 ettari! Ciò significa che al momento stiamo usando 0,4 ettari in più rispetto al disponibile, approfittando dell’eredità energetica accumulata per noi dall’ecosistema globale della terra nei miliardi d’anni che ci hanno preceduto. Poiché le eredità, per quanto ampie, non sono infinite, presto o tardi le esauriremo, per cui, se dobbiamo rispondere alla domanda se i 2,2 ettari siano poco o tanto, il compito è facile: è troppo! Ne discende, numeri alla mano, che dovremmo diminuire le nostre pretese in modo da rendere sostenibile la nostra fuggevole permanenza su questo mondo, oppure rassegnarci ai disastri che ne deriveranno (e che potremmo già vedere attorno a noi, se solo non ci impuntassimo a tenere gli occhi ostinatamente serrati). In genere, quando si affrontano questi temi, si viene invariabilmente accusati di catastrofismo, ma vedrò di evitarlo, perché non vorrei riflettere sui quei 4.000 metri quadri in eccesso che rendono in-sostenibile il nostro stare al mondo (nel senso che operiamo al di sopra della soglia di sostenibilità), bensì utilizzare i meandri della statistica e il concetto di impronta ecologica (cioè lo spazio vitale) per rispondere alla domanda sottesa dal titolo: chi è il migrante? La risposta, purtroppo, è di una semplicità matematica, per non dire aritmetica e si ottiene con alcune ovvie considerazioni. Vediamo come. Consideriamo, ad esempio, il nostro bellissimo paese: l’impronta ecologica dell’italiano, colui che abita in Italia, è di 4,2 ettari a testa,mentre la disponibilità del nostro paese è di solo un ettaro (siamo ben 60 milioni, troppi, anche se si continua a sostenere che bisognerebbe crescere!). Al che ci si domanda: da dove prendiamo gli altri 3,2 che non abbiamo, ma che adoperiamo per sostenere la nostra vita di occidentali? Semplice: li rubiamo a coloro che vivono in uno spazio vitale inferiore a quei 2,2 ettari quantificati all’inizio, che sono il risultato del calcolo di un valor medio operato su tutti gli abitanti della terra e su tutte le attività umane (magia della statistica, secondo la quale, se siamo in due e l’altro mangia due polli, ne abbiamo mangiato uno a testa, in media!). Insomma, poiché il mondo è tutt’altro che uniforme, c’è chi vive meglio e chi peggio, i primi sottraendo spazio vitale ai secondi che, loro malgrado, sono costretti ad arrangiarsi con quel che resta. Tanto per essere chiari, se noi italiani dovessimo vivere secondo la disponibilità di spazio vitale utilizzabile nel nostro paese, saremmo allo stesso livello dell’Africa (che infatti ha un’impronta ecologica pro capite di 1,1 ettari)! Senza dimenticare che, anche laggiù, c’è chi vive meglio (ad esempio i bianchi sudafricani, che spaziano grossomodo in un numero di campi di calcio equivalente al nostro) e chi peggio (ad esempio i Tebu del Chad, che giocano soltanto nell’area piccola di porta). C’è bisogno d’altro per rispondere alla domanda sulla genesi del migrante? Egli è colui che si sposta per rientrare in possesso di quello spazio vitale, sacrosanto, che gli è stato sottratto da chi lo adopera, a suo discapito, per stare meglio di lui ed è curioso che, sempre più spesso, si giustifichino l’intolleranza e il razzismo con la frase storica che “bisognerebbe aiutarli a stare a casa loro”, come se non fossimmo noi a rubargliela - la “casa loro” - portandola dalle nostre parti! Il mondo del migrante non è descritto dalle carte geografiche convenzionali, bensì da quelle in cui gli stati vengono disegnati con un’estensione proporzionale ai consumi, cioè il territorio che davvero i suoi abitanti occupano per giustificare e sostenere il proprio stile di vita. Se continuiamo a rubare i campi di calcio altrui, non possiamo lamentarci eccessivamente se poi c’è chi viene a tirare due calci nel nostro, magari facendoci notare come esso sia di dubbia provenienza, forse furtiva o forse no, chissà, ma di certo non del tutto limpida. Tre giorni dopo la Notte dei cristalli, in cui i nazisti per la prima volta agirono in un’azione combinata a livello nazionale contro gli ebrei, i gerarchi si interrogarono, tra le altre cose, sull’opportunità di predisporre carrozze a loro riservate nei trasporti pubblici. Dopo una discussione di alto contenuto tecnico, alla fine decisero per il no ed il motivo principale fu che nell’eventualità di forte affluenza si sarebbe potuto verificare il caso in cui i tedeschi si sarebbero accalcati nelle proprie carrozze, mentre gli ebrei avrebbero avuto molto più spazio a disposizione nelle loro. Poiché il razzismo sa bene cosa sia lo spazio e come utilizzarlo ai propri fini, agli ebrei fu imposto di indossare la stella gialla, i nazisti si tennero tutto lo spazio. Proviamo a non dimenticarlo quando ci rechiamo in Africa, in vacanza, a godere degli spazi sconfinati e incontaminati di quei luoghi: sono spazi che in realtà non esistono, perché, per poterci recare laggiù, li abbiamo già trafugati ai legittimi proprietari per pagare la nostra esistenza (e i viaggi, anche quelli ecosostenibili!) e li abbiamo portati a casa nostra. Oppure li abbiamo rubati due volte, il che è davvero intollerabile e dovrebbe farci riflettere… almeno due volte!
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