11 Dicembre: Un campo rom nella periferia di Torino viene dato alle fiamme perché una ragazzina dice di essere stata violentata da un nomade. Due giorni dopo la ragazza ritratta la confessione dicendo che in realtà non c’è stata alcuna violenza. Il campo rom, però, è stato ormai dato alle fiamme, quindi dobbiamo spostare il nostro obiettivo su un altro punto: come mai? Perché? Che cos’ha scatenato quest’ondata di violenza repressa e incontrollata?
Le risposte potrebbero essere molteplici, ma credo che il problema fondamentale, come sempre, sia la mancanza di dialogo tra due culture così differenti. Per instaurare un dialogo il primo passo fondamentale è quello di provare a conoscerle abbandonando un punto di vista etico e acquisendo un punto di vista emico, come dichiara più volte l’antropologo Claude Levi-Strauss nei suoi scritti. Todorov, nel suo capolavoro ‘La scoperta dell’America’, sostiene che la conoscenza dell’altro richiede sforzo e fatica, ma non dobbiamo mai e poi mai rinunciarci e, soprattutto, non dobbiamo pensare di poterci basare su episodi già avvenuti perché la conoscenza dell’altro è un qualcosa di estremamente moderno. Va al passo con i tempi: “Scrivo questo libro perché vorrei che venisse ricordato quel che può accadere se non si riesce a scoprire l’altro. Perché l’altro deve essere scoperto. E poiché la scoperta dell’altro percorre diversi gradi, è possibile trascorrere la vita senza mai giungere alla piena scoperta dell’altro, sempreché ad essa si possa realmente arrivare. Ognuno di noi deve sempre ricominciarla personalmente, le scoperte anteriori non ce ne dispensano. Ma la scoperta dell’altro deve essere assunta in proprio da ciascun individuo”. Rispettando le parole scritte da Todorov credo sia importante conoscere o meglio sforzarsi di conoscere un po’ meglio quest’etnia e ritengo che la prima domanda che bisognerebbe porsi è la seguente: chi sono i Rom? Rom (al plurale Roma) è uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanes/romani (anche detta degli “zingari” o dei “gitani”) che si presume essere originaria dell’India del Nord. La caratteristica comune di tutte le comunità che si attribuiscono la denominazione rom è che parlano dialetti che derivano da varianti popolari del sanscrito e che trovano nelle attuali lingue dell’India del Nord Ovest la parentela più prossima. I rom propriamente detti sono un gruppo etnico che vive principalmente in Europa, distribuiti in una galassia di minoranze presenti principalmente nei Balcani, in Europa centrale e soprattutto in Europa orientale, dove vive circa il 60-70% dei rom europei, benchè la loro diaspora li abbia portati anche nelle Americhe ed in altri continenti. I rom in Italia, nel linguaggio giornalistico ed in quello comune, vengono a volte erroneamente definiti “rumeni” o “slavi”, in realtà non esiste alcuna connessione tra il termine “Rom” e il nome dello stato di Romania, il popolo di lingua neolatina dei rumeni o la lingua rumena, mentre gli slavi appartengono a differenti gruppi etnici e linguistici. Un dato costante della storia dei rom, forse il vero filo conduttore dell’intera epopea di questo popolo, va rintracciato nella persecuzione che hanno sempre subito, la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio. Lungo la storia che li accompagna fino ai giorni nostri si è protratta nel tempo la diffidenza sorta al loro primo apparire nel Medioevo europeo. Il nomadismo venne subito visto come una maledizione divina e i dialetti parlati da queste popolazioni, costituenti appunto il romanes/ romani, secondo la tradizione popolare dell’epoca derivavano da arti oscure riconducibili alla stregoneria. Di qui la tendenza delle società moderne a liberarsi di tale presenza anche a costo dell’eliminazione fisica. Tutti i paesi europei adottarono bandi di espulsione nei loro confronti, fino alla programmazione del genocidio dei rom, insieme a quello degli ebrei, durante il nazismo in Germania. In Italia si stima che siano 45.000 rom di antico insediamento, di questi circa l’80% è cittadino italiano, il restante 20%, è costituito da rom provenienti dai paesi dell’Europa orientale. In sostanza non possiedono né stato, né territorio, né tantomeno istituzioni riconosciute a livello internazionale. Attualmente la loro comunità conta tra i 15 e i 18 milioni di individui: in realtà il numero ufficiale di rom è incerto in molti paesi, questo anche perché molti di loro rifiutano di farsi registrare come di etnia rom per timore di subire discriminazioni. Non hanno mai ottenuto riparazioni a seguito del genocidio della II Guerra Mondiale e il relativo oblio in cui il loro martirio è caduto (non esistono giornate della memoria per lo sterminio degli zingari) così come la recrudescenza delle violenze (in Bosnia sono stati cacciati dall’esercito e dalle milizie paramilitari), li hanno spinti nel 2000 a domandare all’ONU il riconoscimento della Nazione Zingara. I Rom hanno poco potere politico e non hanno vista accolta la loro richiesta, in quanto l’ONU non si è occupato della loro situazione limitandosi a delegare la questione ai singoli Stati. In Italia vivono circa 150 mila persone tra rom e sinti, i due principali gruppi etnici che costituiscono la popolazione nomade nella Penisola. Di questi quasi 90 mila (il 50-60%) è di nazionalità italiana, i restanti sono da dividere tra rom provenienti dai paesi balcanici dell’ex Jugoslavia (tra i 20 e i 25 mila) e dell’est Europa (65-70 mila), soprattutto dalla Romania. Le ultime migrazioni più consistenti sono iniziate dalla fine degli anni ‘70 e si sono intensificate tra gli anni ‘80 e ‘90 in concomitanza con la dissoluzione della Jugoslavia e la guerra che ne è seguita. Molti hanno solo transitato in Italia, andando poi a vivere in Germania e Francia. Un nuovo impulso migratorio si è registrato dalla fine degli anni Novanta in particolare dalla Romania, fino a quando, nel gennaio 2007, Bucarest è entrata nell’Unione europea. Da allora il flusso degli arrivi è diminuito. Sulla base dei Rapporti del Consiglio Europeo, l’Italia non risulta avere ancora assunto una politica precisa nei confronti della popolazione: mancano disposizioni in materia di documenti d’identità e di soggiorno, già vigenti nel resto d’Europa. I rom sono considerati una popolazione “nomade” e non “stanziale” e vivono in campi limitrofi alle grandi aree metropolitane. Su questo punto la “Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza” (ECRI) ha spesso ripreso il nostro Paese per la situazione in cui versano gli accampamenti. Da due anni si procede ad una serie di rimpatri cosiddetti “assistiti” e alla chiusura dei campi in diverse zone.
Dopo aver cercato di fornire una panoramica sui Rom sarebbe necessario prendere in mano una lente d’ingrandimento e mettere a fuoco prima i singoli stati europei fino a giungere all’Italia per poi spostarci sulla regione Piemonte e, più precisamente, a Torino. Credo che sia necessario trattare ogni questione partendo dal descrivere una situazione generale per poi scendere nei dettagli,come si fa quando si ammira un quadro o una qualsiasi opera: è importante vedere l’intera opera per poi avere,in un secondo momento, le nozioni necessarie e gli strumenti che ci permettono di scendere nei dettagli. A tal proposito una mattina decido di fare un giro al mercato e quivi comincio a domandare alle signore in attesa di essere servite cosa ne pensino dei rom e che cosa conoscano di questa cultura. Non penso di dire un qualcosa di nuovo quando affermo che la cultura rom non sia ben vista per diversi motivi: ad esempio i bambini spesso non vanno a scuola perché costretti a mendicare. Inutile dire che in non bisogna fare di tutta l’erba un fascio; alcuni rom tentano di integrarsi e purtroppo sono vittime del pregiudizio derivato dal comportamento errato e socialmente dannoso di altri. D’altro canto, però, non me la sento di condannare in toto i cittadini che ormai spaventati e impauriti da un mondo che cambia così velocemente, non hanno il tempo di rendersi conto delle trasformazioni che li circondano. Mi rendo conto che non è per niente facile costruire un dialogo, ‘un ponte’ che riesca a far sì che le culture si confrontino, parlino e che si contaminino a vicenda. A questo punto ritengo sia opportuno fare un’ulteriore tappa in questo viaggio, fiduciosa nel fatto che la curiosità e la voglia di conoscere l’altro siano punti di partenza imprescindibili nell’eterno e mutevole dialogo con la diversità. Questo viaggio tra culture mi porta a incontrare il Professor Leonardo Piasere, antropologo e uno dei maggiori conoscitori della vita zingara in Italia. Una conoscenza che non è quella tipica degli antropologi ‘da tavolino’ del 1800, ma che è passata attraverso l’esperienza diretta che in linguaggio tecnico si traduce con osservazione partecipante. Campi, dove, allora giovane studente, visse a stretto contatto con gli Zingari e ne conobbe usi, costumi e tradizioni spesso vietate agli occhi degli estranei. Il Professor Piasere ha rilasciato un’intervista per Radio Sardegna che poi è stata riadattata ed è divenuta parte del libro ‘La terza metà del cielo’ di Alberto Melis edito da Gia Editrice, Cagliari. Contrariamente a quanto si può immaginare questo professore ci offre un panorama articolato e complesso sul mondo e sulla cultura zingara. All’interno delle comunità zingare ci sono dei leaders che possono essere considerati più prestigiosi degli altri, ma il loro prestigio dipende dalle proprie singole capacità. L’anzianità ha un prestigio ma se l’anziano commette qualche errore grave lo perde automaticamente. è un qualcosa che si ottiene attraverso azioni concrete e non con l’utilizzo dell’imposizione della forza sui membri della propria famiglia o su terzi. della propria famiglia o su terzi. Per quanto riguarda le donne invece, nelle comunità zingare in generale, c’è una forte dicotomia tra il gruppo maschile e quello femminile. All’interno della famiglia il ruolo della donna è fondamentale ed importante dal punto di vista della conduzione familiare. In tanti gruppi sono di fatto le donne di famiglia, le mogli, che danno le direttive di azione, anche se ufficialmente, per l’esterno, è sempre il maschio che fa la figura del capofamiglia. Normalmente, per gli Zingari, i non zingari (gagi) costituiscono grosso modo l’ambiente su cui operare. Il fenomeno dell’urbanizzazione degli Zingari, intensificatosi in molti Paesi dell’Europa occidentale negli ultimi quaranta, cinquant’anni, ha seguito grosso modo il fenomeno dell’urbanizzazione della popolazione non zingara. Quindi, da questo punto di vista, non possiamo dire che il rapporto tra Zingari e non zingari sia cambiato. Ci sono dei casi di Zingari e famiglie zingare che si sono inurbate e vivono in modo tranquillo, e ci sono casi di famiglie e di comunità di Zingari che si sono inurbati in modo non tranquillo, ad esempio nelle periferie desolate delle nostre città, così come è avvenuto per i non zingari (ad es. abitanti dei quartieri degradati). C’è anche da dire che poi le diverse comunità attuano strategie economiche differenti ed è in gran parte da ciò che deriva la loro scarsa integrazione con i locali. Alcuni (gli Xoraxane ad esempio) attuano strategie economiche che da noi sono considerate illegali: la mendicità infantile e femminile, i furti ecc., e da ciò derivano i problemi di contatti e di scontro con le istituzioni e le autorità. Altri invece (i Roma sloveni ad esempio) , che risiedono da ormai tre generazioni in Italia, sono commercianti di ferro vecchio, di macchine usate, e un tempo facevano i commercianti di cavalli. Questi secondi rappresentano un esempio di adattamento senz’altro più riuscito o perlomeno più tranquillo. Il fatto che essi siano commercianti non significa però che riescano ad essere sempre in regola, perché per loro è sempre molto difficile ottenere le licenze di commercio. Uno spunto che mi sembra molto interessante all’interno dell’intervista fatta al Prof. Piasere riguarda la concezione del lavoro secondo gli zingari: tanti gruppi del Sud della Jugoslavia, abituati negli ultimi decenni ad avere un minimo di lavoro salariato, lo accettano abbastanza volentieri. Altri meno. per molti di loro vendere la propria forza lavoro è considerato un furto portato avanti dai non zingari. Alla fine il Professore, data la sua esperienza diretta, propone di agevolare al massimo l’ottenimento delle licenze di commercio, perché gli zingari sono dei commercianti anzitutto. Credo vivamente che tutto questo debba portarci a riflettere e a non banalizzare o pretendere di poter imporre la nostra visione del mondo agli altri. Sono consapevole del fatto che la convivenza non è semplice, ma è una realtà che non si può fingere di ignorare o peggio eliminare dalle nostre vite. Tutto è davvero relativo, anche la prospettiva occidentale che per anni ha avuto la presunzione di considerarsi l’unica degna di nota. Giungendo alla conclusione che non basta prendere la nostra lente d’ingrandimento, ma bisogna proprio cambiarla, questo perché per poter vedere, comprendere e accettare dobbiamo delle volte abbandonare i nostri schemi e adottarne di nuovi. Questa credo che sia la parte più complessa, ma è giusto fare uno sforzo se non per noi almeno per le generazioni future. Non è giusto che i nostri figli o i figli dei nostri figli, guardandosi indietro, non riescano a trovare un modello di cooperazione a cui ispirarsi e tramandare, a loro volta, ai discendenti. La cosa più preziosa che possiede la razza umana è il proprio patrimonio, perché la vera forza dell’uomo, di ogni singolo individuo, è la sua storia fatta di sbagli ed errori, ma anche di tanti tentativi. Sono perfettamente conscia del fatto che il tentativo di un dialogo, come ho già ripetuto più volte fino alla nausea, è un qualcosa di complesso, ma non dobbiamo mai perdere la fiducia e ritentare ogni volta con la convinzione che, se si abbandonano i metodi violenti e la discriminazione, forse riusciamo davvero a costruire qualcosa di nuovo e duraturo. Spero che questo ‘viaggio’ si stato realmente istruttivo e possa aver acceso la curiosità di ogni lettore di fare un primo passo fondamentale verso l’altro.
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