El català (il catalano)
Lingue & Culture
Scritto da Silvia Licata   

El català, ossia la lingua catalana, appartiene alla grande famiglia linguistica indoeuropea (di cui fa parte la maggioranza delle lingue parlate in Europa – a esclusione del basco, dell’estone, del finlandese, dell’ungherese – e alcune asiatiche, come ad esempio l’hindi), ed è una lingua neo-latina o romanza, cioè, come per l’italiano, lo spagnolo, il francese e altre lingue del medesimo gruppo, si è venuta a formare dalle evoluzioni del latino.

All’interno di questo ramo, è possibile una ulteriore classificazione, che vuole per alcuni linguisti il catalano come lingua gallo-romanza (lo stesso sotto-ramo del francese), per altri esso apparterrebbe al gruppo ibero-romanzo (lo stesso sotto-ramo di spagnolo e portoghese), anche se, normalmente, indipendentemente da quanto i linguisti, a ragion veduta teorizzano, si propende a considerare questa lingua come ibero-romanza, perché viene naturale collegarla alla città di Barcellona, capitale catalana entro lo Stato spagnolo. E, anzi, per molti che ignorano o non conoscono bene le classificazioni linguistiche sarebbe naturale persino considerarla una derivazione dallo spagnolo se non un sua variante. Cosa che sicuramente farebbe infuriare qualsiasi catalano… Vi assicuro, allora, sulla base di ciò, che se, non solo definire il catalano “ibero-romanzo” a priori non è corretto, è più difficile di quanto sembri, sulla base di raffronti lessicali e morfologici, potere dire con assoluta esattezza se esso sia effettivamente ibero-romanzo o gallo-romanzo. Sono evidenti tracce del francese o dell’occitano, ad esempio, alla prima persona singolare del presente indicativo, che ha come desinenza “c”: e quindi, avremo crec per “credo”, vinc per “vengo” e così via. E, del resto, questa lingua appartiene anche al Roussillon, zona francese di confine con la Spagna.
Dal punto di vista dell’analisi tipologica, invece, il catalano è senza dubbio una lingua SVO (cioè sintatticamente soggetto-verbo-oggetto) e flessiva, ossia capace di segnalare grammaticalmente con un unico morfema (cioè con un unico elemento dotato di significato e non ulteriormente scomponibile in altre unità) più dati morfologici.
Storicamente, durante il Medioevo il catalano era, inizialmente da solo, lingua ufficiale della cancelleria d’Aragona e lingua di cultura della corte, poi con l’avvento della dinastia castigliana dei Trastamara, continuò a esserlo insieme a spagnolo, italiano e napoletano – e questo vi sembrerà strano, ma è spiegabile in quanto il sovrano Alfonso il Magnanimo aveva trasferito la propria capitale a Napoli. E riesce a diventare lingua di corte anche a Roma, sotto i Borgia.
Durante il Cinquecento, tuttavia il catalano comincia la sua lenta decadenza in favore dello spagnolo castigliano, dovuta alla salita al trono di Spagna degli Asburgo.
Nell’Ottocento ci furono vari tentativi di recupero delle antiche posizioni del catalano, ed è infatti in questo momento che si parla di “Rinascimento catalano”, la Renaixença, movimento certamente teso anche alla rivalutazione della sua cultura e della sua letteratura. Tuttavia, nel secolo scorso con il regime dittatoriale franchista, questa lingua torna a vivere un periodo fortemente oscuro, più che in passato, perché subisce una vera e propria censura. Diventa lingua proibita ed esclusa da qualsiasi attività.
In tempi più recenti, per venire incontro alle varie richieste di autonomia e autodeterminazione delle differenti comunità etniche e linguistiche racchiuse all’interno del suo territorio, lo Stato spagnolo nel 1978 ha introdotto all’art. 3 della sua Costituzione una distinzione tra la sua lingua ufficiale, il castigliano, e le altre lingue parlate entro i suoi confini. In particolare, per il catalano, La Costituzione sancisce che la lingua ufficiale della Catalogna è il catalano, mentre il castigliano è la lingua ufficiale di tutta la Spagna. E infine, ai giorni nostri, a partire dal 2005, esso è diventato lingua co-ufficiale dell’Unione Europea.
La diffusione di questa lingua è comunque più estesa di quanto si possa pensare. Parlato da più di 9 milioni di persone, non è solo lingua ufficiale della Catalogna, ma è presente in Spagna anche nella zona di Valencia, alle isole Baleari, dove ha sempre il ruolo di lingua ufficiale accanto al castigliano; in altre regioni della Spagna pur non avendo ufficialità, ha ottenuto comunque un certo grado di riconoscimento (questo è il caso, ad esempio, dell’Aragona). Oltre i confini spagnoli, come già accennato, è presente in Francia nel Roussillon (seppure in modo limitato, poiché il francese ha decisamente un ruolo preponderante), nel Principato di Andorra, dove ha il rango di lingua ufficiale, nel nostro Paese in Sardegna (zona di Alghero), e altre regioni sparse tra Europa e America del Sud, dove certamente il catalano non ha riconoscimenti particolari.
Il catalano, nonostante le difficoltà nel suo riconoscimento, e la difficile convivenza con le lingue ufficiali delle varie nazioni in cui è presente, ha dunque una grandissima tradizione culturale ben radicata e, oggi, anche fortemente regolata da diverse istituzioni, quali l’Institut d’Estudis Catalan, l’Acadèmia Valenciana de la Llengua e la Generalitat de Catalunya.
Naturalmente, come ogni lingua, sebbene in misura minore e meno netta, anche il catalano non fa eccezione nell’avere forme dialettali differenti o varietà. Ecco dunque che avremo: catalano occidentale (distinto a sua volta in nord-occidentale, valenciano – spesso considerato dai valenciani stessi un idioma a sé e non una variante catalana – e tortosì) e catalano orientale (distinto a sua volta in rossiglionese, centrale, delle Baleari e algherese).
I adés, vi saluto con due proverbi catalani in rima: «Si vols que diguin bé de tu, no diguis mal de ningú», ovvero: se vuoi che dicano bene di te, non dire male di nessuno (saggio, ma difficilissimo da attuare… possibile che mai alcun essere umano ci riesca?), e: «Qui molt xerra, alcunes n’erra», e cioè: chi chiacchiera molto, in qualcosa si sbaglia (come dire che meno parliamo, più ci salviamo!). E se vi lamentate del tempo, imparate a dire: «Que temps molt puta!». Capito?!